Necessità e possibilità
- Fabrizio

- 3 apr 2023
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di Annalisa Decarli

Nei momenti in cui il regno dell’umano mi sembra condannato alla pesantezza, penso che dovrei volare come Perseo in un altro spazio. Non sto parlando di fughe nel sogno o nell’irrazionale. Voglio dire che devo cambiare il mio approccio, devo guardare il mondo con un’altra ottica, un’altra logica, altri metodi di conoscenza e di verifica. Le immagini di leggerezza che io cerco non devono lasciarsi dissolvere come sogni dalla realtà del presente e del futuro… [1]
Italo Calvino
In una intervista rilasciata nel 1967, Italo Calvino affermava di credere nell'esistenza della realtà e nell'affidabilità della relazione fra la realtà e i segni con cui la rappresentiamo. Perché «il mondo esiste indipendentemente dall’uomo; il mondo esisteva prima dell’uomo ed esisterà dopo, e l’uomo è solo un’occasione che il mondo ha per organizzare alcune informazioni su se stesso»[2]. Di qui l'importanza attribuita alla letteratura quale strumento di significazione e classificazione delle conoscenze sul mondo, sempre relative, provvisorie e contingenti.
L’idea di creare un mondo d’invenzione in cui tutte le possibilità fossero ancora delle potenzialità da esperire, iniziò a prender forma quando – nel 1963, probabilmente al Teatro Carignano di Torino – Calvino ebbe modo di assistere a una conferenza di Giorgio de Santillana, filosofo della scienza che, fra l'altro fece notare come il nome stesso della scienza, in greco epistéme, significhi far fronte. Chiosa Calvino: «Dico l’idea che nessuna storia e nessun pensiero umani possano darsi se non situandoli in rapporto a tutto ciò che esiste indipendentemente dall’uomo; l’idea d’un sapere in cui il mondo della scienza moderna e quello della sapienza antica si riunifichino.[3]
In quella conferenza Santillana sostenne la tesi che l'osservazione scientifica è precedente alla formulazione del mito, nato proprio come tentativo di spiegazione del mondo. La sapienza cosmica, più antica del mito, appunto, era appartenuta agli arcaici, abitanti dei territori fra Caldea, Egitto e India, che avevano delineato – attraverso un’attenta osservazione dei pianeti e delle costellazioni, con una precisione assoluta nella misurazione – una «vera astronomia arcaica»[4], basata sulla «regolarità della macchina cosmica». La visione dell'universo come «ordine rigoroso» derivante da questa protoscienza era «dominata da una Necessità assoluta di natura matematica». Nessuna concessione all'antropomorfizzazione della divinità, piuttosto un approccio alla conoscenza che Santillana accosta, da un punto di vista filosofico, al pensiero della fisica attuale, ma più impegnativo: «quella macchina ci comanda, assai più che non possa l’attuale realtà fisica, di cui ci sembra di poterci servire, almeno per i nostri scopi limitati. Siamo noi moderni, in fondo, più vicini alla tradizionale magia.[5]
Il filosofo data la sapienza cosmica intorno al v millennio a.C., «quando molti motivi e livelli di pensiero s’intrecciavano in un tutto che aveva la sua compattezza e formava una visione unitaria del cosmo». Un millennio più tardi, l'ideazione dell’alfabeto ad opera di questo «primo pensiero filosofico» sancì l'«inizio per noi del tempo storico, ma che fu per esso la conclusione».[6]
[1]Lezioni americane, ora in Italo Calvino, Saggi *, cit., pp.635-36. [2]Intervista rilasciata a Madeleine Santschi, pubblicata sulla «Gazette de Lausanne» del 3-4 giugno 1967. [3]"Il cielo sono io", «la Repubblica», 10 luglio 1985, ora in Italo Calvino, Saggi **, a c. di Mario Barenghi, Milano, «I Meridiani» Mondadori, 1995, p.2088. [4]Giorgio de Santillana, Fato antico e Fato moderno, Milano, Adelphi, 1985 [1993+], p.11. [5]Ibidem, p.15. [6]Ibidem, p.12. [7]Giorgio de Santillana – Herta von Dechend, Il mulino di Amleto, Milano, Adelphi, 1983 [1998.], pp.80-81; [8] "Il cielo sono io", cit., p.2089.




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